La poesia dell’attimo.

Una poesia pittorica, quella di Lucia Sarto. Una poesia che si esprime con pennellate leggere e fini, che ci avvolgono e ci spingono verso quell’ ”oltre” da cui queste provengono. Ammirare una sua opera ci porta a intraprendere un viaggio fantastico dentro l’immagine, in un mondo di luce, riflessi e colori in cui l’artista ci permette, seppur per un attimo di sognare di percorrere con la mente i luoghi da lei attentamente scelti.

E’ così che Lucia Sarto riesce a cogliere, fissandola la fugacità dell’attimo. Esemplare in questo senso è “Papaveri”. Si tratta di una tela caratterizzata da colori accesi, dove la luce tremolante crea un movimento affascinante, senza confini, senza orizzonte, perfino senza cielo. Il visitatore è invitato a soffermarsi, a farsi coinvolgere dai colori e dalle luci, al punto di perdersi nella bellezza infinita della poesia che questo quadro trasmette. Contrariamente alle facciate dei palazzi sul Canal Grande che si collocano nella migliore tradizione impressionista, le vedute del Ghetto di Venezia risultano invase da un marcato realismo, che lei sceglie accuratamente lontano dai classici stereotipi da cartolina, evidenziando scorci e prospettive particolari.

Di grande impatto il “Banco Rosso” del Ghetto veneziano, dove convive evidente il contrasto anche simbolico tra chiaro e scuro: il sottoportico storico sembra offrirci con la sua ombra un rifugio prima di entrare nella luce accecante del Campo. Qui, come anche in altri quadri dedicati alle città israelite, prevale una minuziosa e sensibile raffigurazione dell’architettura esaltata e resa più piacevole dalla presenza immancabile dei fiori, elemento tipico della Sarto, come se questi permettessero ai muri di respirare. Un’eccezione innovativa nella sua opera è rappresentata dall’integrazione della figura umana come elemento decorativo. Vediamo, ad esempio, come nel “Campo del Ghetto” inserisca nell’ambiente architettonico delle persone appena accennate, in movimento, senza alcuna elaborazione dei lineamenti. Figure che apparentemente non si curano dello spettatore, che a sua volta li coglie in un attimo di passaggio e che procedono per la propria strada, per la propria vita. Un modo questo, per “contemporaneizzare” le architetture secolari con l’inserimento di un ulteriore elemento temporale, oltre i fiori. O forse solo un modo per cogliere senza eccessi, silenziosamente, la poesia che ciascun attimo della nostra vita è in grado di esprimere.

Petra Schaefer Andreoli
Venezia, Settembre 2005